Slow Wine Guida 2020 I Vini Slow, i Grandi Vini e i Vini Quotidiani per la Basilicata e la Calabria con un mio piccolo commento vino per vino a un giorno della grande degustazione a Montecatini

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Slow Wine Guida 2020
I Vini Slow, i Grandi Vini e i Vini Quotidiani per la Basilicata e la Calabria
12 Ottobre 2019

Terme del Tettuccio
Montecatini Terme (Pt)
www.slowfood.it/slowine/
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www.cantinaconforme.it
www.vinointorno.it

Continuo con la Basilicata e la Calabria a commentare i Vini Slow, i Grandi Vini e i Vini Quotidiani regione per regione della guida dello Slow Wine 2020, aspettando la grandissima degustazione di Montecatini Terme del 12 ottobre 2019. Io sto contando le ore che arrivi… oggi siamo a meno 3 giorni.
Ecco i premiati della guida per la Basilicata e la Calabria, ma più che i premiati, voglio dire per una maggior parte i vini che piacciono a me, i produttori che piacciono a me, le persone che vado a trovare nelle loro aziende e quindi via a continuare con la Basilicata e la Calabria. Prima dell’elenco ecco il commento alla regione a cura della redazione dello Slow Wine.

BASILICATA

“La situazione del vino lucano in questi 10 anni ci pare profondamente cambiata in meglio. Nel periodo di uscita della nostra prima edizione, ovvero nell’autunno del 2010, la Basilicata stava vivendo un periodo di crisi profonda.

Negli anni precedenti, in seguito alla nascita di molte nuove realtà, e con la scelta di tanti di imbottigliare il frutto delle proprie vigne e quindi di cambiare sostanzialmente mestiere, da imprenditori agricoli o contadini a vignaioli e commercianti di vino, l’Aglianico del Vulture aveva cominciato a farsi conoscere in giro per l’Italia e per il mondo. Complice il successo commerciale di alcune etichette, molti avevano pensato che il futuro sarebbe stato semplice e lineare: bastava produrre vinoni ricchi di alcol, frutto e legno, e il mondo li avrebbe accolti con gioia. Si era quindi sviluppato uno stile molto ricco, talvolta decisamente caricaturale, ma dopo un po’ questo sistema è entrato profondamente in crisi: gli appassionati stavano voltando le spalle alle barrique, ai rossi troppo corposi, ai vini-confettura, e lo stavano facendo a livello globale, portando il Vulture, che per certi versi aveva seguito questa moda, a ritrovarsi spiazzato.

Da qui, la crisi di cui parlavamo all’inizio: molte aziende erano in difficoltà, talune chiudevano, altre vendevano i vigneti o li concedevano in affitto, tanti si interrogavano sul futuro. I dati parlano chiaro: nel 2005 si producevano 267.000 ettolitri, nel 2009 144.000 e nel 2016 86.000. Ebbene, in modo molto slow i produttori più capaci si sono rimboccati le maniche e hanno puntato su un dimagrimento stilistico dei vini, sulla ricerca di territorialità, sulla purezza espressiva di quello stupendo vitigno che è l’aglianico.

E poi, soprattutto negli ultimi cinque anni si sono affacciati i giovani, talvolta attraverso un salvifico ricambio generazionale, in altri casi con la nascita vera e propria di nuove aziende condotte da under 40. Questi ragazzi, la nuova generazione Vulture, hanno dato una scossa a una denominazione che ne aveva un gran bisogno, perché troppo chiusa su sé stessa e con un’immagine appannata, che andava reinventata. Ora pensiamo che la situazione sia diversa e lo dimostrano anche i nostri riconoscimenti, che per una regione così piccola dal punto di vista produttiva sono numerosi. In più qui l’agricoltura è fatta per bene, con molte aziende votate alla naturalità e ai pochi interventi in campo. Anche in cantina si sta affermando un modello che vede una gestione più attenta e accorta delle estrazioni e un uso misurato e più consapevole del legno di affinamento.

Ci sentiamo infine di aggiungere, in chiusura di questo breve bilancio, anche due parole sul resto della regione. Al di fuori della zona del Vulture ci sembra che ci sia ancora troppo poco e si punti su modelli desueti, con un utilizzo eccessivo di vitigni alloctoni, il cui destino è segnato in gran parte del nostro Paese. Perché coltivare merlot e cabernet sauvignon in Basilicata? Noi ce lo chiediamo, e speriamo inizino a farsi questa domanda anche altri soggetti.”

GRANDE VINO

Aglianico del Vulture Don Anselmo 2016, Paternoster (un classico)
Aglianico del Vulture Il Sigillo 2014, Cantine del Notaio (un grande classico) 

VINO SLOW

Aglianico del Vulture Grifalco 2017, Grifalco (mi piace assai) 
Aglianico del Vulture Serra del Prete 2016, Musto Carmelitano (buonissimo) 
Aglianico del Vulture Titolo 2017, Elena Fucci (azienda per me simbolo di come si può vivere di vino molto bene, dopo tanti sacrifici, complimenti a voi tutti) 

VINO QUOTIDIANO

Aglianico del Vulture Messer Oto 2016, Madonna delle Grazie (mi piace) 

CALABRIA

«Per l’introduzione regionale fai un bilancio degli ultimi 10 anni del vino calabrese in 3.200 battute. Non una di più. Entro lunedì». Sono perentori a Bra. Mica come noi quaggiù, che ce la prendiamo comoda per ogni cosa, anche per scrivere le recensioni della guida. Non siamo perditempo, è che quaggiù fa caldo in estate, c’è il mare, ci sono i tavolini delle osterie sotto il pergolato con le bottiglie di vino al fresco. Insomma, ci sono troppe distrazioni! E a proposito di vino, anche in questo settore ce la siamo presi con calma, tanta calma. Soltanto 10 anni fa, infatti, c’è stato il big-bang dell’enologia calabrese.

In principio erano i produttori classici, quelli storici da centinaia di migliaia di bottiglie, quelli che seguivano i gusti e le tendenze del mercato, quelli dei vitigni internazionali a tutti i costi e delle barrique a go-go. In principio erano i produttori solisti, quelli che «il mio vino», quelli che di lavorare insieme manco a parlarne.

Poi sono arrivati i giovani vigneron con la loro testardaggine e l’amore per i vitigni autoctoni e i vini artigianali, quelli che hanno anticipato i gusti dei nuovi appassionati del vino. Dapprima furono quelli che noi di Slow Wine abbiamo definito Cirò Boys. E fu la nouvelle vague dell’enologia calabrese: hanno fatto scuola, e dalle pendici del Pollino fino alle coste che si rispecchiano nello stretto di Messina è stato un fiorire di piccole aziende vitivinicole con il pallino della valorizzazione del territorio.

Anche le grandi realtà, certo non tutte, si sono adeguate man mano. Ed è tutta un’altra storia, adesso. Carlo Petrini, nella prefazione al libro “Ti ho vista che ridevi” del collettivo calabrese Lou Palanca, ha scritto che nessuno si salva da solo. Con calma, ma lo hanno capito anche i produttori di queste latitudini, ed è stato l’inizio del lavoro in rete e dei consorzi. È arrivata nuova linfa per quello di tutela dei vini di Cirò e Melissa, e hanno visto la nascita, proprio in questo decennio, quello di Terre di Cosenza e di Reggio Calabria.

E per la prima volta, nel 2018, siamo addirittura riusciti a presentarci al Vinitaly con un unico grande stand regionale. Insomma, da quando questa guida ha preso vita, la vitivinicoltura calabrese ha fatto passi da gigante, e i risultati si ritrovano nel bicchiere. Non abbiamo ancora tagliato il traguardo, certo, anzi siamo soltanto all’inizio di un percorso, ma adesso sappiamo dove andare. E non ci sembra cosa di poco conto. Le 3.200 battute sono quasi finite e fuori, anche se non fa più tanto caldo, ci sono sempre il mare e i pergolati delle osterie con il vino fresco. Quello calabrese, che ci piace tanto, ma non solo. Alè!

VINO SLOW

Benvenuto 2018, Cantine Benvenuto (lo degusterò) 
Cirò Rosso Classico Superiore 2016, ‘A Vita (un campione molto bravo) 
Cirò Rosso Classico Superiore Più Vite Riserva 2013, Sergio Arcuri (un altro molto bravo) 

VINO QUOTIDIANO

Cirò Rosato 2018, Cote di Franze (da degustare) 
Cirò Rosso Classico 2017, Cataldo Calabretta (bravissimo, la sua crescita è simbolo di bravura) 
Cirò Rosso Classico 2017, Librandi (un classico) 

Le etichette premiate che vedete qui elencate potrete trovarle in degustazione a Montecatini Terme il 12 ottobre, per non perdervi il più grande evento di presentazione di una guida italiana cliccare qui.

Pasquale Pace
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