Icardi, una famiglia un’azienda con un buono e ottimo presente… con grande futuro. Intervista a Claudio Icardi

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Az. Agricola Icardi s.s.a.
Strada Comunale Balbi, 30
Castiglione Tinella (Cn)
www.icardivini.com
www.ilgourmeterrante.it
www.codivin.com
www.cantinaconforme.it
www.vinointorno.it

Durante Vinointorno Pasquale Pace e Extrawine, gli organizzatori dell’evento, mi ha fatto conoscere l’azienda Icardi e Cascina San Lazzaro, descrivendomela come un’azienda di persone fantastiche prima e di eccellenti produttori di vino poi, così decisi, qualche settimana fa, di andare a visitarla insieme ad un gruppo di amici: ne rimasi stupito.

Il posto è meraviglioso. L’accoglienza che ci è stata riservata è stata esemplare!

L’azienda è situata tra la bassa Langa e il Monferrato, in una zona vocata alla produzione di vino con una storia iniziata più di cento anni fa, arrivando ad oggi, guidata dai fratelli Claudio e Mariagrazia Icardi, oggi coadiuvati dai figli Sara, Luca e Ivan, con 60 ettari di terreno coltivato in 13 comuni e con una produzione annua che varia dalle 250 alle 350 mila bottiglie. Stiamo parlando già di numeri discreti, ma ciononostante si percepiscono valori semplici e molto forti come quello della famiglia, dell’amore e dell’amicizia.
Si, forse sono un po’ troppo smielato, ma credetemi, passare un pomeriggio in loro compagnia, sorseggiando magari un buonissimo bicchiere di vino e, perché no, assaggiare dei salumi e formaggi eccezionali ti fa per un istante staccare la spina.

Dopo aver passato questo tempo in azienda ho deciso di chiudere il cerchio cercando di estrapolare anche quale fosse la loro filosofia. Come mai questo passaggio al “green” in questi ultimi 20 anni. Come mai la scelta della biodinamica (che personalmente piace molto). Quindi ho pensato di fare una breve chiacchierata con Claudio Icardi per farmi rispondere a qualche mia domanda riguardo lui e la sua azienda.

Claudio è il fulcro agricolo e, con i suoi 60 anni compiuti freschi qualche giorno fa, l’agronomo nonché mentore dell’Azienda.
Dico mentore perché parlare con lui è come ascoltare un padre che sa insegnare e tramandare qualcosa, facendo capire quanto importante possa essere la salvaguardia ambientale e di se stessi.

Sul sito si legge orgogliosamente agricoltori.

Cos’è che ti piace di più di questo mestiere? Cosa ti riempie d’orgoglio?

Aver conosciuto un sacco di persone. Mi piace molto l’umanità che c’è attorno al mondo del vino che il vino in se.
Una volta avrei risposto diversamente, adesso che mi sto invecchiando, giusto l’altro ieri ho  festeggiato 60 anni, mi piace molto di più la parte umana, la parte vera delle persone che lottano tutto l’anno contro la grandine, contro i parassiti, contro la burocrazia, contro tutto e tutti!
Siamo un popolo di eroi. Siamo viticoltori.
Aldilà delle simpatie, delle antipatie, sentirai “il mio vino è migliore del tuo”, queste frasi qui, io non le dico assolutamente mai. Anzi, conosco dei colleghi che fanno dei vini ottimi, anche meglio del mio.
Cosa non mi piace? Beh… i colleghi che invidiano, non mi piacciono i pettegolezzi, i giornalisti marchettari. Non mi piace assolutamente la burocrazia sempre più oppressiva, che ti fa perdere tanto tempo.

Qual’è il tuo percorso fino ad oggi? hai sempre lavorato in azienda? come sei arrivato fin qui?

Io facevo il musicista. Da bambino ho sempre immaginato un futuro nella musica, poi il mio papà mi fatto fare la scuola enologica ad Alba. Feci in seguito, io, un ragazzo felice con la coca cola, pizza e chitarra, un viaggio in Francia nel quale incontrai una donna più grande di me che mi fece assaggiare dei grandi vini: da li mi sono innamorato del mio mestiere. Ho capito che il vino ha tanto da dire e tanto da dare.
Susseguirono una serie di viaggi di ricerca in Francia per conoscere altri produttori e tecnici. Gente che mi ha insegnato cosa significa, ad esempio, Terroir; cosa voleva dire “esprimere un vitigno”, “esprime una zona”, “esprimere una tradizione”. E’ questo il significato di terroir, termine bellissimo che noi non abbiamo e che sa dire tanto di questo mestiere . Non vuol dire solo territorio.
Il concetto di cru. Le differenze di un cru e l’altro. E’ così che è nata la storia.
Abbiamo lavorato tanto e pian pianino ci siamo ingranditi. Lavorare tutta la settimana tenendoci sempre però il sabato e la domenica liberi per accogliere chi volesse venire in visita da noi. Anche perché mi è piaciuto, durante i viaggi in Francia, di essere stato trattato in certo modo: mi hanno aperto le porte per tutto. Perciò tanto voglio farlo nel mio fin che posso.
Abbiamo iniziato a fare vino buono verso fine degli anni ‘90, capendo, grazie un’amica ricercatrice che stava svolgendo degli studi sul cancro, che molta roba utilizzata in campagna poteva essere cancerogena per la salute e per l’ambiente.
Da lì il percorso con il biodinamico. Accanto a quello ho accettato di fare con molta passione delle consulenze per le aziende sul biodinamico, che adesso faccio sempre in maniera più limitata poiché non mi va più tanto di viaggiare.
Dalla Sicilia al Veneto, passando per la Toscana, al Piemonte. Ne Ho fatte parecchie. Oggi trovo molto piacere, invece, sperimentare nuove cose, sempre naturali, in campagna: come ad esempio degli oli essenziali, continuando a dare consigli sul biologico e biodinamico a chi me lo chiede.

Perché Biodinamica?

A me la Biodinamica piace molto, anche se  al tempo, il primo approccio nello studiarla non mi è piaciuto: non mi piacevano i testi, non mi piaceva Steiner. Poi approfondendo la cosa, e conoscendola, ho realizzato che è un bel modo di fare agricoltura. Non posso dire assolutamente che sia l’unico modo di fare agricoltura naturale, ce ne sono penso decine se non centinaia di modi.
Questo mi piace molto, la conosco bene. Credo che sia un ottimo modo per far rivivere l’ambiente. Chi fa biodinamica pensando che sia una roba matematica, fatta senza sensibilità, senza attenzioni, è fuori strada.
Poi ovviamente intorno al mondo della biodinamica sono nati, ed è una roba che detesto, un sacco di organizzazioni parassitarie che certificano, che marchiano ecc.
Però si, i principi mi piacciono assai.
Usare la luna e il cosmo come facevano gli antichi. Usare prodotti di bassissimo impatto ambientale applicati alla conoscenza e scienza di oggi credo sia una bella cosa.

Come vedi il futuro della viticoltura?

Sai, questa è una domanda alla quale dovresti rispondermi te. Io mi sto invecchiando, concentrando il mio tempo a fare delle prove, degli esperimenti nel mio piccolo.
Andando contro Steiner, il quale diceva che dal grande arriva il piccolo, io trovo sempre più piacere nell’osservare le piccole cose e da li capirne le grandi. In biodinamica il concetto è quello opposto: partire dal cosmo per arrivare al granello di sabbia. Io mi ci sto divertendo da matti. Quindi ho piacere nel vedere i miei animali, il mio orto, sperimentare nei miei vigneti, ma ciò comporta passare molto tempo a casa, sempre più sul campo.
D’altronde sempre Steiner diceva: “i passi dell’agricoltore sul campo sono la miglior fertilizzazione che ci sia”. Ed è vero. Facendo questo porti osservazione, sensibilità, porti il tuo spirito proprio lì. Ed è quello che sto facendo. Poi di quello che avverrà al di fuori di me non lo so.
Penso, spero che si vada verso un’agricoltura, non solo viticoltura, più sana. Altrimenti moriamo. Io quando mi guardo attorno vedo una devastazione del suolo, anche a livello di chimica! Noto una meccanizzazione sempre più pesante.
Il suolo, il cui partener sembra sempre più cemento, non è più sano!
Ed è quella la base di tutto. E’ un organismo che va rispettato come tale. Ed è lì che funziona la cosa. Io cerco di fare dei prodotti sani. Tornando al concetto di Biodinamica, la chiave sta tutta lì: non fare solo cose buone, ma anche delle cose che facciano bene.
Ultimamente viviamo un riavvicinamento alla terra. Un consiglio per i giovani che vogliano intraprendere questo percorso?
Se lo si fa poiché non c’è altro impiego, ok, ci sta, per carità, ma non è l’approccio giusto. Se lo si fa perché si sente qualcosa dentro, beh, il primo passo è studiare; o al limite affiancarsi a qualcuno che abbia già studiato, che ne sappia già qualcosa, che spieghi e che faccia capire. E poi prepararsi ad un sacco di delusioni, ma le soddisfazioni sono grandi.
Io lo dico, di aziende ne ho viste nascere tante e chiudere tante, ma quelle che hanno avuto la caparbietà di andare avanti hanno saputo coglierne i frutti.
Nel momento in cui arriva il primo premio ci si sente di fare qualcosa di grande.
Realizzi che il vino è, in sé, un piccolo modo di infuturarsi. Certo una scultura di marmo dura molto di più. In fondo il nostro mestiere è una piccola arte. Ma quando fai una bottiglia che duri 30, 40 anche 50 anni, se non di più, ecco! Ti sei infuturato!
Io lo sto facendo capire ai miei ragazzi in cantina, alla mia famiglia, ai miei figli.
Ad esempio il barolo di quest’anno durerà sicuramente più di me, capisci?
Ho avuto tanti amici produttori di vino, che sono venuti a mancare per vari motivi, e ricordarli con un bel bicchiere del loro vino è emozionante.
Poi quando toccherà a me, perché toccherà anche a me, spero di offrire un bella bottiglia del mio vino. Noi fortunatamente abbiamo questa possibilità rispetto ad altri mestieri (una forma di formaggio non può durare 30 anni).
La cosa migliore è far qualcosa che la gente metta dentro, e che nutra! Che gli faccia bene. Questa è già una soddisfazione.

Quindi, un consiglio per chi volesse fare questo nella vita? Produrre delle cose che facciano del bene all’ambiente e agli altri. Niente di più, perché non c’è niente di meglio.

Andrea Tabolacci

 

Pasquale Pace
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